Storia di Federico Peliti. Uomo dell'Ottocento, Uomo Moderno. Scultore, pasticcere, fotografo. Non tutti gli uomini e le donne possono essere qualificati con un mestiere. "Principi e signori indiani, quando volevano offrire un pranzo a ospiti europei ricorrevano a Peliti, il quale trasportava armi e bagagli in casa del suo cliente, e qui vi preparava il pranzo, provvedendo a tutto, dalla A alla Z".
Federico Peliti si diplomò scultore nel 1865, all'accademia di Belle Arti di Torino. A quell' epoca non c'era il progetto Erasmus. E non c'erano neppure i corsi per diventare cuochi, i fricchettoni, i vini naturali, l'acqua con le bollicine e gli esistenzialisti. A quell'epoca non c'erano un sacco di cose.
Ma i Negri si potevano chiamare Negri. (I Bianchi pensavo che tutto il mondo era loro, un po' come adesso ma allora ancora di più). E in quegli anni c'era anche quella cosa che si chiamava Colonialismo. E Imperialismo. E Nazionalismo che di lì a poco si trasformerà in Totalitarismo. Il mondo allora conosciuto era pieno di gaglioffi, di capitani coraggiosi e di sensazionalismi. Era l'età in cui Jules Verne scriveva romanzi, i cui protagonisti sognavano di dominare la natura con la sola forza dell'immaginazione, un tocco di creatività e qualche colpo di pistola.
Peliti che proveniva da una famiglia nobile e operosa, di artisti, ingegneri e circensi, decise però di non fare soltanto l'artista, lo scultore: il demiurgo sapiente di marmo e granito. Ma si appassionò a un arte in cui i piemontesi come lui, eccellevano: la pasticceria. La cucina piemontese aveva generato in quel secolo in tutta Europa, una nuova cultura della tavola, dello stare insieme, del banchettare secondo un fine e uno scopo.
Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi, Il Confettiere di buon gusto, Il trattato di cucina pasticceria moderna, credenza e relativa confetturia, erano manuali dell'arte culinaria che in quegli anni a Torino, spopolavano, andando a ruba, quasi come le xilografie pornografiche di origine nipponica in cui i vigorosi falli e i folti pubi si cercavano, si rincorrevano, e si compenetravano nel mezzo della scena. In silenzio, in amore, in settembre. E in maggio.
Ebbene si Federico Peliti partecipò a una gara di pasticceria indetta dal vicerè dell'India Lord Mayo, concorso riservato ai migliori di mezzo mondo che, dovevano sfidarsi presentando le migliori elaborazioni dell'alta cucina dolciaria. E vinse. E così si trasferì in India a Calcutta. Senza borsa di studio e senza prendere analgesici durante il viaggio in nave. Con una valigia piena di libri, bilancini, fruste, mestoli e placche a forma di meringa.
"Non sarò un conquistatore in senso stresso. Ma non è il palato stesso, terra di conquista? Deve essere stuzzicato affinché sia sottomesso. Calpestato con sapori e fragranze. Non lo si sottomette un senso se prima non lo si stupisce.", scriveva nel suo diario lo scultore-pasticcere.
E in India tutti iniziarono ad apprezzare quel modo di cucinare e di stupire. Al punto che il pimontese danzante (ai fornelli) diventa anche imprenditore. Mette su un'impresa per l'organizzazione di eventi: feste nuziali, incontri diplomatici, compleanni di personalità illustri. Ancora non esistevano gli addii al celibato, e quelli al nubilato, altrimenti, probabilmente con la capacità prorompente del suo tiramisù, sarebbe diventato chissacchì, forse l'uomo più ricco (e zuccheroso) del mondo.
Peliti aprì anche una azienda di confetture. Alle prugne, fruit passion e ciliegie, le marmellate più gettonate. Ed entrò in società in un concessionario di elefanti indiani, (che si differenziano da quelli africani perché sono privi di zanne e non gli piacciono le noccioline americane).
Poi il nostro Piemontese estroso e geniale scoprì pure la fotografia. (E' proprio vero che ci sono persone che riescono in tutto e persone che non riescono in nulla, ma proprio in nulla nemmeno ad aprire una bottiglia di vino con il tappo in sughero e cera lacca).
Ed ecco il Federico che si mette a fotografare se stesso e il mondo. Anime, demoni e moscerini. Non realizzò reportage, book, portfoli, vernissage. Tutte parole che allora forse non esistevano. Semplicemente fotografò. Soggetti fra i più vari e comuni. Mausolei, fachiri, rabdomanti, elefanti camperizzati, serre, visi di donne, culi di bambini.
Fotografò un sacco. Fotografò come fosse un'attività che gli piaceva tantissimo fare.
Chi era quindi, in fin dei conti Federico Peliti? Uno scultore? Un pasticcere, un viaggiatore, un fotografo? Niente di tutto questo, o meglio molto di più. Era un dessert indecifrabile, come amava definirsi lui stesso.
Titolo: Federico Peliti Un Fotografo Piemontese in India al tempo della regina Vittoria
Autore: a cura di Marina Miraglia.
Anno:1994
ISBN: 88-85121-34-9
Editore: Peliti Associati
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