Il racconto IO E TRAP di DIMITRI KOVALEV è stato tradotto da MARIO LIVENZEV
Io e Trap
Mi chiamo Leo e faccio parte del popolo delle gallerie. La mia vita si svolge in stretti cunicoli sotterranei. Non vedo mai il sole, mangio insetti e roditori, ma sono felice. Vi assicuro che non è facile essere felici qui sotto, dalle nostre parti. Le giornate passano lente, i campi da tennis sono stretti e polverosi e hanno soffitti che sembrano caderti addosso, i gin tonic sanno di sabbia, ma, almeno io, ho una ragione per essere contento. La mia trivella semovente, Trap.
Trap è grande e ha le maniglie dei due sportelli cromate. Vernice blu metallizzata. A tutta forza raggiunge un chilometro orario. Intendo dire se si mette a scavare una galleria. Macina terreno Trap, insieme a tutto ciò che si trova davanti, senza sosta e senza alcun rispetto. L’altro giorno, arrivandoci da sopra, ha sfondato la camera da letto di una casetta isolata alla periferia della città. Ha ucciso due vecchi che stavano facendo l’amore. Mi ha fatto scendere per farmi controllare cosa avesse combinato. Di quei due non era rimasto nulla. Soltanto due goccioline di sangue sulla punta della trivella. Dalle nostre parti non se ne accorge nessuno se muori. Figuriamoci se succede in una casetta isolata alla periferia della città.
Non è mica facile essere felici quaggiù. Trap ed io passiamo un’infinità di pomeriggi insieme. Io e Trap sperduti dalle parti della falda acquifera. Trap ed io alla ricerca di una parete nuova da frantumare. Io e Trap in profondità alla ricerca del centro della Terra. Come se fossimo in grado di orientarci, Trap ed io. Io e Trap all’assalto di una colonia di ratti giganti, all’inseguimento di un paio di vermi colossali, alle calcagna di una talpa fosforescente.
Trap ed io che cataloghiamo tutti i tipi di terriccio, di scorie e di minerali, addormentati nel buio, nel silenzio più assoluto, dispersi in una caverna, precipitati in un burrone, sormontati da una montagna di granito, impantanati in una palude d’argilla, sprofondati in uno stagno di brecciolino, invischiati in un pozzo artesiano. Io e Trap che puntelliamo tunnel, sistemando dinamite, piazzando segnali stradali, disseminando torce, tracciando mappe, scovando nuovi mondi sotterranei. Io e Trap. Trap ed io. Io e Trap. Lo ripeterei all’infinito. Se soltanto potessi sentirmi. Lo direi anche a te. Perché non hai orecchie, Trap?
Quando finisce il combustibile ho sempre una tanica di benzina nel cassone porta-utensili di Trap. Qui sotto l’unica cosa che non ci manca è il petrolio. Noi del popolo delle gallerie ci campiamo con il petrolio. Lo raffiniamo. E lo beviamo pure. Almeno io e Trap lo facciamo. Quante bevute ci siamo fatti insieme, quante ferite ci siamo sciacquati, quante docce, bagni, tuffi, ci siamo fatti nel petrolio. Te lo sei mai domandato, Trap? Tu sei sempre così sicuro di te, Trap. Sempre così te stesso, con i tuoi borbottii, i tuoi rumoretti, le tue sfumacchiate nere dalle marmitte, il tuo procedere costante, il tuo essere trivella in tutto e per tutto. Ma tu, Trap, mi sono sempre chiesto, un’anima ce l’hai? Uno a posto come te, un’anima ce la deve avere per forza.
Cunicoli, gallerie, brecce, tunnel. Frantumando avanti e indietro tutto il giorno. Millimetro dopo millimetro. Atomo dopo atomo. Che bella la vita. Sono un abitante delle gallerie che non si può certo lamentare. Non sono mica come gli altri io. Che hanno sempre da ridire su qualunque cosa. Lo scarico del cesso otturato. La birra calda in frigo. La sveglia che non suona al mattino. Come se qui sotto ci fossero i mattini. Lampade alogene come albe, è questo quello che vi meritate. E fate pure finta di non vedermi quando vi passo davanti con Trap.
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