Pochi uomini possono generare con le proprie parole una realtà fisica esistente. Scolpire il mondo a proprio piacimento. Forgiarlo e al contempo annientarlo. Le parole la maggior parte della volte sono vento, sono eco, sono poesia, sono niente: prosopopea ed eternità zoppe. Quelle di Jean-Claude Izzo no! Le parole di Jean-Claude Izzo sono troie sdentate.
"Marsiglia quel mattino aveva colori da mare del Nord. Diamantis trangugiò in fretta un Nescafé nella sala comune deserta. Poi scese sul ponte fischiettando Besame mucho, il motivo che più spesso gli tornava in mente. Anche l'unico che sapesse fischiettare. Tirò fuori una Camel da un pacchetto stropicciato, l'accese e si appoggiò al parapetto. A Diamantis quel tempo non spiaceva. Non quel giorno lì, per lo meno. Si era svegliato con un umore già impiastrato di grigio.
Lasciò vagare lo sguardo sul mare, verso il largo, come per allontanare il momento in cui, come tutti gli altri marinai dell'Aldebaran, avrebbe dovuto prendere una decisione. Decidere non era il suo forte. Da venticinque anni ormai si lasciava portare dalla vita. Da un cargo all'altro. [...].
Proprio un giorno senza futuro, pensò Diamantis. Non osava dirsi che quel giorno era come tutti gli altri. Cinque mesi. Già cinque mesi che i marinai dell'Aldebaran erano lì. Attraccati, relegati laggiù, in fondo ai sei chilometri della diga del Largo. Lontani da tutto. Senza niente da fare. E senza un soldo. Ad aspettare l'ipotetico acquirente di quel fottuto cargo.
L'Aldebaran era arrivato a Marsiglia il 22 gennaio. Da la Spezia. Per caricare duemila tonnellate di farina dirette in Mauritania. Fin qui tutto bene. Tre ore dopo il tribunale aveva bloccato la nave a garanzia dei debiti contratti dall'armatore. Kostantino Takis, cipriota. Da allora più nessuno aveva avuto sue notizie. Un "bel figlio di puttana" aveva detto Abdul Aziz, il capitano dell'Aldebaran."
(Jean-Claude Izzo, Marinai perduti)
Possano le parole essere sassi. Essere tricicli cigolanti di un bambino alieno. Ed io piango. Possano essere la pinna caudala mai esistita di Moby Dick. Possano essere il sollievo e il lasciato. La lacrima e la spuma.
Possano la parole essere germogli. Conficcate nel cuore dell'ignorante, del reprobo e del ladrone. Possano essere serpenti, così da insinuarsi e dissuadere. Infiocinare e infilzare alacremente, raggranellando miseria e scarabei.
Possano le parole essere dimenticante. Perché il loro c'è il dolore e la barriera. C'è il fariseo e il lanzichenecco. C'è l'immortale e l'impaziente. C'è Marsiglia e Gesù Cristo.
Possano le parole essermi d'aiuto. Perché mia madre muore. Le ancore scompaiono. Il cielo color vermiglio è testimone. Io salto. Io algoritmo. Io feto.
(A Jean-Claude Izzo, Possano le parole)
Abbughiatu- agg. abbuiato nella mente.
Buttaraga -f. interiora salate e secche dei pesci.
Cammin di ferru - m. via ferrata, ferrovia.
Dighiagaratu - ag. contuso, ammaccato.
Erpia - n. tirar calci.
Futta -f. collera, escandescenza.
Guazzighia -nt. stare, camminare nel guazzo, nella melma, diguazzare.
Hanu - voce del verbo avè.
Imbafacchia - a. imbrogliare.
Lombatu - ag. scimunito.
Mazzengu - agg. furbo.
Nancu - av. non ancora, neppure.
Omancu - av. almeno.
Patecca -f. cocomero.
Quara - f. un quarto.
Rombulu - m. chicco d'uva.
Sannicone - ag. provvisto di zanne.
Tramannatu - ag. disgraziato, infermiccio.
Umbule - ag. tenero, morbido.
Vulpera - loc. av. a modo volpino,
Zarulu- m. sorta di pesce molto conosciuto.
(Da Il dialetto corso nella parlata Balanina, P. Tommaso Alfonsi, 1932)
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