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Il formichiere


The Valley of the worm

Il racconto IL FORMICHIERE di ANZ GARY è stato tradotto da ELENA FERRANTE



Il formichiere

Un uomo sbirciava a ripetizione le quarte di copertina. Riponeva i volumi con un gesto secco e deciso. Non era sicuro che si ricordasse come si fa a leggere. Ma di sicuro si era dimenticato l’ombrello e fuori imperversava un formidabile temporale estivo. Due ragazzini escogitavano il modo per acquistare un fumetto erotico vietato ai minori. Per permutarlo con un pacchetto di sigarette. A sua volta da permutare con una boccia di whiskey a buon mercato. E magari un giorno, se si è fortunati fare i contrabbandieri.

Lontano da occhi indiscreti, in una zona piuttosto isolata e per niente rumorosa della libreria, nel bel mezzo del sottobosco editoriale, fra scaffali mistery, venature dark, spruzzate horror, c’era lui, il formichiere. Fiutava l’aria rarefatta e pesante del condizionatore che gli sparava dritto sopra la schiena. Si alzò in piedi sulle zampe irsute posteriori e prese ad annusare i tomi. Le narici inamidate scorrevano veloci sulle sovraccoperte vellutate che ancora profumavano di inchiostro vivo. Si arrestarono. Tornarono indietro. Si posarono su un libro preciso, la Valle del Verme di Robert Ervin Howard. Non era tanto il titolo a ispirargli quanto gli enormi seni della donna guerriera che in copertina brandiva una spada a forma di serpente. Sentì le papille gustative scuotersi in bocca e sbatacchiarsi come tante falene attorno a una lampada a olio. Si mise in piedi e con un colpo secco delle zampe anteriori lo tirò giù. Bloccò il libro per terra e con gli unghioni squarciò via la sovraccoperta. Diede un paio di occhiate intorno. Grattò ferocemente sulla copertina. Faceva resistenza, così la dilaniò con l’aiuto della dentatura aguzza. Gli occhietti, piccoli e neri, tradirono un impercettibile luccichio quando si trovarono davanti le pagine nude. Le pagine completamente nude squarciate nel mezzo. Il viso della donna guerriera penzolava dalla sovraccoperta ormai ridotta a brandelli e gli lanciò un occhiataccia. Sembrava cercare disperatamente la spada a forma di serpente volata via chissà dove. Il formichiere ricambiò l’occhiata. Poi con una sola unghia le declinò delicatamente il volto su di un lato. Infilò il musetto conico dritto nel mezzo della pagine lacerate e fece scivolare giù la lingua vischiosa. Il dorso del libro s’inarco quasi a spezzarsi. La carta un misto di inchiostro e saliva era umidiccia e accogliente. Ripeté l’affondo più volte. Ad ogni affondo le zampe posteriori tremavano e gli facevano perdere l’equilibrio, spingendo il muso ancora più in giù.


Il vampiro del mare

Finalmente deglutì, le parole scesero a fiotti. Gli punzecchiarono la gola, come ultima vendetta di chi sa che non ci sarà vendetta. Corsero giù raschiandogli l’esofago e si adagiarono scomposte sul fondo dello stomaco formando istantaneamente piccoli raggruppamenti caotici e animosi. Che stupide le parole, anche nelle situazioni più disperate vogliono dire la loro. Anche se perdono il senso, il senso della loro interminabile colonna, una dietro l’altra a spingere e tirare, cercano sempre di rimettersi a posto, di trovare un verso, una geometria nella loro interminabile consequenzialità. Si arrogano il diritto d’intrufolarsi, d’insinuarsi, di penetrare e perfino nella loro inutile singolarità, lasciare un segno che sia magari soltanto un morso ma capace di solleticare un nervo a fior di pelle per tutta un’esistenza. Ma nello stomaco del formichiere quei pizzichi, quelle morsicate durarono giusto il tempo della digestione. Scomparirono veloci, in balia dei succhi gastrici.

Il formichiere arrivò alla quarta di copertina che di parole ormai non ne rimanevano che sparute. Sparse qui e là, intorpidite dalla mattanza da non provare nemmeno a fuggire. Si depositavano sulla lingua appiccicosa spontaneamente, come tante debuttanti bruttine invitate a ballare un secondo prima della mezzanotte. Terminò il libro. Emise un rantolo. Ne lungo come di approvazione, ne corto come di disgusto. Un semplice rantolo.


La casa delle streghe

Il formichiere stirò la schiena intorpidita e con essa l’imponete coda. L’utilizzò come scopa e nascose sotto lo scaffale quel che rimaneva della costola del libro. Minuscoli coriandoli bianchi che una volta ne costituivano le pagine, epurati ormai dal peso dell’inchiostro, si librarono in aria come tante anime corpuscolari bramose di reincarnarsi. La speranza però durò poco. Si andarono a depositare, così a caso, nella penombra di quel sottobosco editoriale. Alcuni caddero sul Vampiro del mare di Charles Eric Maine, altri su I Pirati Fantasma di William Hogdson, i più fortunati su Il Dio polpo esige la sua vergine di Tommy Crap, altri ancora su L’antico regno del silenzio di Martin Hocke, ma solo uno, un solo coriandolo sospinto da un alito di malinconia cadde sullo stesso volume in cui in quello stesso istante stava posando lo sguardo il formichiere. Il Boia elettrico di Howard Philips Lovercraft. L’animale ebbe un sussulto. Un sussulto sinistro e vendicatore che durò lo spazio di pochi secondi.

Il formichiere non si fece intimorire, si avviò trotterellando all’uscita. Si sentiva sazio.

Giusto il tempo di attraversare la porta e già la fame lo tormentava.


I pirati fantasma

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